La strada si slanciava innanzi, sotto la rabbia del sole di luglio, bianca e
vampante e soffocante di polvere tra le fratte arsicce piene di bacche rosse,
fra i melagrani intristiti e qualche agave in tutto fiore.
Il branco dei porci irrompendo per quella bianchezza sollevava nugoli enormi;
Tulespre dietro con la canna su quell&8242;accavallamento di dorsi nerastri,
da cui uscivano grugniti sordi e grufolìi e lezzi aspri di carne riscaldata;
Talespre dietro, gittando urlacci dalla strozza secca, rosso in faccia e tutto
in sudore; Jozzo, un mastino chiazzato di nero, con tanto di lingua fuori, a
testa bassa, gli zoppicava accanto. E andavano alle querci della Fara, i porci
a saziarsi di ghiande, Tulespre fare all&8242;amore.
Andavano. Lì da San Clemente Casauria c&8242;era un mucchio di ciociari
addormentati all&8242;ombra degli archi di pietra; era un mucchio di corpi
sfiniti: volti abbruciacchiati, gambe e braccia nude tatuate di turchino;
russavano forte, e da quel carname vivo. esalava un odore di selvaggina
grossa. Al passaggio del branco, qualcuno si rizzò sui gomiti. Jozzo fiutava:
poi fermo sulle tre gambe cominciò a latrare furiosamente: i porci sbandavano
di qua e di là, con grugniti acutissimi sotto i colpi di canna; i ciociari
all&8242;assalto improvviso balzarono in piè tra la paura, mentre la luce
acuta li feriva ne gli occhi torpidi sonno; e il polverone copriva tutto quel
tumulto di bestie e d&8242;uomini in faccia alla maestà della basilica
gloriata dal sole.
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