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la comedìa, conosciuta soprattutto come commedia o divina commedia,[1] è un poema allegorico-didascalico[2] di dante alighieri, scritto in terzine incatenate di versi endecasillabi, in lingua volgare fiorentina.
composta secondo i critici tra il 1306/07 e il 1321, anni del suo esilio in lunigiana e romagna,[3] la commedia è l'opera più celebre di dante, nonché una delle più importanti testimonianze della civiltà medievale, tanto da essere conosciuta e studiata in tutto il mondo, oltre che ritenuta una delle più grandi opere della letteratura di tutti i tempi.[4] il poema è diviso in tre parti, chiamate «cantiche» (inferno, purgatorio e paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l'inferno, che contiene un ulteriore canto proemiale). il poeta narra di un viaggio immaginario, ovvero di un itinerarium mentis in deum,[5] attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della trinità. la sua rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba cristiano è un culmine della visione medievale del mondo sviluppatasi nella chiesa cattolica.
l'opera ebbe subito uno straordinario successo e contribuì in maniera determinante al processo di consolidamento del dialetto toscano come lingua italiana. il testo, del quale non si possiede l'autografo, fu infatti copiato sin dai primissimi anni della sua diffusione e fino all'avvento della stampa in un ampio numero di manoscritti. parallelamente si diffuse la pratica della chiosa e del commento al testo (si calcolano circa sessanta commenti e tra le 100.000 e le 200.000 pagine),[6] dando vita a una tradizione di letture e di studi danteschi mai interrotta: si parla così di "secolare commento". la vastità delle testimonianze manoscritte della commedia ha comportato un'oggettiva difficoltà nella definizione del testo critico, ma in tempi moderni si dispone di un'edizione di riferimento realizzata da giorgio petrocchi.[7] più di recente due diverse edizioni critiche sono state curate da antonio lanza[8] e federico sanguineti.[9]
la commedia, pur proseguendo molti dei modi caratteristici della letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, scopo didascalico e morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), è profondamente innovativa poiché, come è stato rilevato in particolare negli studi di erich auerbach, tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà. Ã^ una delle letture obbligate del sistema scolastico italiano. Ã^ stato notato come tutte e tre le cantiche terminino con la parola «stelle» ("e quindi uscimmo a riveder le stelle" â€" inferno; "puro e disposto a salir a le stelle" â€" purgatorio e "l'amor che move il sole e l'altre stelle" â€" paradiso), come pure l'uso di neologismi creati da dante come «insusarsi», «inluiarsi» e «inleiarsi».[10]
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