La regola del silenzio
Di Enzo Fileno Carabba
Einaudi, I coralli, 7, 1994
Serafino Mang per vendetta insegue per ucciderlo l'assassino della donna che ha amato. Amore, morte, vendetta. Ma, probabilmente, mai, se non in certi esiti eccellenti della fantascienza, una consolidata struttura narrativa è stata sottoposta a simili sconvolgimenti. Sappiamo che la vendetta può permettersi tempi lunghi: qui Serafino Mang aspetta, ibernato, sessantaquattro secoli. Ma la smisurata dilatazione cronologica è contemporaneamente irrisa da una filosofia circolare del tempo, da una metempsicosi allargata agli oggetti, da una visione impressionante del mondo come interminabile distruzione. Carabba allestisce una visione molto originale del dolore venando il testo di un'ironia bizzarra che produce l'inatteso effetto di dare serietà alla scrittura, invece di alleggerirla. In questa seconda prova di Carabba, vincitore nel 1991 del premio Calvino con il suo "Jakob Pesciolini" (Einaudi), si delinea con chiarezza un progetto di scrittura maturo e complesso, con esiti sonori volutamente cacofonici di cui non è semplice trovare la formula chimica. Qualcosa si intravede nell'uso fine dell'articolazione determinata e nell'impiego di verbi senza complemento là dove il complemento è solitamente espresso, ma la strumentazione linguistica di Carabba andrebbe studiata più a fondo perché è molto ricca e sottile.
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